NOVENA DELL’IMMACOLATA CON TANTE VOCI A PITIGLIANO
Quando don Giacomo mi ha chiesto di scrivere qualche rigo sulla novena all’Immacolata che abbiamo tenuto in parrocchia, subito mi sono corse nella mente immagini, suoni e situazioni che, proprio durante questa novena, avevo vissuto ormai oltre mezzo secolo fa, quando ero semplicemente un adolescente che iniziava a frequentare il gruppo dell’Azione Cattolica o della “Casa del giovane”, come si chiamava allora.
E ho ripensato alle donne, che allora affollavano il “corso” di Pitigliano e che si chiamavano, dicendo: “Dai scendi, andiamo alla “funzione”.
In Chiesa, l’allora parroco, don Giorgio, era inginocchiato ai gradini dell’altare maggiore, davanti alla balaustra, vestito con la talare nera (tonaca), la cotta bianca e la stola viola al collo.
La Cattedrale veniva inondata dal profumo dell’incenso, e si cominciava la recita del Rosario. Al termine, Don Pietro (parroco di San Rocco) iniziava una serie di canti in latino, dall’Organo a canne in alto. Nessuno di noi ci capiva niente, ma l’armonia ci faceva accennare a qualche breve parola storpiata di cui non conoscevamo il significato….
Oggi è cambiato molto, per fortuna tutto si recita in italiano ed abbiamo la possibilità da comprendere quello che recitiamo.
La novena l’abbiamo tenuta nella Chiesa di Santa Maria Assunta, più facilmente raggiungibile dalla gente, anche perché ormai il centro storico è disabitato.
Abbiamo iniziato con il Santo Rosario, la celebrazione della Messa ed una breve esposizione del Santissimo Sacramento; poi i canti della novena.







Quest’anno don Giacomo ha voluto che a predicare le riflessioni fossero, a turno, i sacerdoti della nostra vicaria ed anche i diaconi: io, Don Giuseppe Brienza, Don Domenico Donati, Don Carlo Paris, Don Mathias, Don Fabio Menghini, Don Lido Lodolini e, infine, il diacono Carlo.














Il tema era: “Felici come la Madonna – Le Beatitudini con Maria”.
Come ho detto, a predicare questi temi siamo stati chiamati anche noi diaconi, Carlo Boriolo, ed io.
Questo ha destato un pochino di stupore fra la gente che, abituata a sentire parlare dall’ambone sempre il sacerdote, ora si trovava davanti anche dei diaconi, (qualcuno avrà pensato, fra sé, “chissà questo, ora, che cosa avrà da dire”).
Io sono stato il “rompighiaccio”, proprio la prima sera, ( mi sono detto: “o la va, o la spacca, qualcosa dirò, spero di buono”).
Mi sono fatto aiutare da una vecchia omelia di Papa Francesco e con quegli spunti ho cercato di tirare fuori un pensiero, proprio sulla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito perché’ di essi è il regno dei cieli”.
Se avete tre minuti di tempo vi unisco il mio pensiero fatto in quella serata, non è per farmi “bello” con voi che leggete, ma è soltanto per riproporvi una riflessione che è per tutte le stagioni e per tutti i tempi liturgici, perché sempre dobbiamo essere “poveri in spirito per avere il Regno dei Cieli”.
Eccola la mia riflessione:
“Ci confrontiamo oggi con la prima delle otto Beatitudini del Vangelo.
Gesù inizia a proclamare la sua via per la felicità con un annuncio paradossale: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3). Una strada sorprendente ed anche uno strano oggetto di beatitudine, la povertà.
Dobbiamo chiederci: che cosa si intende qui con “poveri”? Se il Vangelo usasse solo questa parola, allora il significato sarebbe semplicemente economico, cioè indicherebbe le persone che hanno pochi o nessun mezzo di sostentamento e necessitano dell’aiuto degli altri.
Ma il Vangelo, parla di «poveri in spirito». Che cosa vuol dire? Lo spirito, secondo la Bibbia, è il soffio della vita che Dio ha comunicato ad Adamo; è la nostra dimensione più intima, diciamo la dimensione spirituale, la più intima, quella che ci rende persone umane, il nucleo profondo del nostro essere. Allora i “poveri in spirito” sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Gesù li proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli.
Quante volte ci è stato detto il contrario! Bisogna avere qualcosa nella vita, bisogna essere qualcuno… Bisogna farsi un nome… È da questo che nasce la solitudine e l’infelicità: se io devo essere “qualcuno”, sono in competizione con gli altri e vivo nella preoccupazione ossessiva per il mio essere. Se non accetto di essere povero, prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità. Perché questa fragilità impedisce che io divenga una persona importante, un ricco non solo di denaro, ma di fama, di tutto.
Ognuno, davanti a sé stesso, sa bene che, per quanto si dia da fare, resta sempre radicalmente incompleto e vulnerabile. Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità. Ognuno di noi è vulnerabile, dentro. Deve vedere dove. Ma come si vive male se si rifiutano i propri limiti! Non si digerisce il limite. Le persone orgogliose non chiedono aiuto, non possono chiedere aiuto, non gli viene di chiedere aiuto perché devono dimostrarsi auto-sufficienti. E quante di loro hanno bisogno di aiuto, ma l’orgoglio impedisce di chiedere aiuto. Papa Francesco ci ricordava che “Ci sono tre parole magiche: permesso, grazie, scusa”. Sono parole che vengono dalla povertà di spirito. Non bisogna essere invadenti, ma chiedere permesso: “Ci sembra bene fare questo?”, così c’è dialogo in famiglia, moglie e marito si parlano. “Tu hai fatto questo per me, grazie ne avevo bisogno”. Poi sempre si fanno degli errori, si scivola: e allora, “Scusami”.
Di solito, “La terza è la più difficile”, chiedere scusa, chiedere perdono. Perché l’orgoglioso non ce la fa. Non può chiedere scusa: ha sempre ragione. Non è povero di spirito.
Invece il Signore mai si stanca di perdonare; siamo noi purtroppo che ci stanchiamo di chiedere perdono . La stanchezza di chiedere perdono: e questa è una cosa molto brutta!
Perché è difficile chiedere perdono? Perché umilia la nostra immagine ipocrita.
Gesù Cristo ci dice: essere poveri è un’occasione di grazia; e ci mostra la via di uscita da questa fatica. Ci è dato il diritto di essere poveri in spirito, perché questa è la via del Regno di Dio.
Ma c’è da ribadire una cosa fondamentale: non dobbiamo trasformarci per diventare poveri in spirito, non dobbiamo fare alcuna trasformazione perché lo siamo già! Siamo poveri … o meglio: siamo dei “poveracci” in spirito! Abbiamo bisogno di tutto. Siamo tutti poveri in spirito, siamo mendicanti. È la nostra condizione umana.
Il Regno di Dio è dei poveri in spirito. Ci sono quelli che hanno i regni, i poteri di questo mondo: hanno beni e hanno molte comodità. Ma sono regni, e poteri che finiscono. Il potere degli uomini, anche gli imperi più grandi, passano e scompaiono. Tante volte vediamo nel telegiornale o sui giornali che quel personaggio forte, potente, che ieri c’era e oggi non c’è più, è caduto. Le ricchezze di questo mondo se ne vanno, e anche il denaro. I vecchi ci insegnavano che il sudario non aveva tasche. E’ vero. Non ho mai visto , diceva ancora Papa Francesco, dietro un corteo funebre un camion per il trasloco: nessuno si porta niente con sè. Queste ricchezze rimangono qui.
Il Regno di Dio è dei poveri in spirito. Regna veramente chi sa amare il vero bene più di sé stesso. E questo è il potere di Dio.
In che cosa Cristo si è mostrato potente? Perché ha saputo fare quello che i re, e i potenti della terra non fanno: dare la vita per gli uomini. E questo è il vero potere. Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà.
Questo ha fatto Cristo.
In questo sta la vera libertà: chi ha questo potere dell’umiltà, del servizio, della fratellanza è libero. A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle Beatitudini.
Perché c’è una povertà che dobbiamo accettare, quella del nostro essere, e una povertà che invece dobbiamo cercare, quella concreta, dalle cose di questo mondo, per essere liberi e poter amare. Sempre dobbiamo cercare la libertà del cuore, quella che ha le radici nella povertà di noi stessi. Amen.…”
La novena, ogni sera, si concludeva sempre con la solenne benedizione, il canto del “Tota pulcra” e dell’Ave Maria di Lourdes davanti alla statua della Madonna con i flambeaux accesi.

Stefano Renzi
Diacono permanente

